- Grazie ad uno studio di un’università olandese è stata scoperta e misurata la presenza di plastica nel sangue degli esseri umani. Il 77% dei campioni ematici testati conteneva infatti microplastiche;
- Queste possono raggiungere il nostro sangue in molteplici modi: bevendo, e in questo caso farlo direttamente dalle bottiglie aumenta non di poco le particelle assunte; mangiando, in particolare pesci e frutti di mare e anche semplicemente respirando o entrando in contatto con buste di plastica e imballaggi.
Quello che fino ad ora era soltanto un sospetto inquietante, è diventato certezza: abbiamo plastica nel sangue. E’ quanto hanno scoperto e, per la prima volta, misurato gli scienziati della Vrije Universiteit di Amsterdam, riportando i risultati di uno studio pubblicato nel mese di marzo, da cui emerge che il 77% dei campioni ematici testati conteneva microplastiche. Sui 22 campioni provenienti da donatori adulti sani, infatti, in ben 17 i ricercatori hanno trovato tracce di plastica.
Quello effettuato dall’Università olandese non è però il primo studio in assoluto sulla presenza di plastica nel corpo umano. Già nel 2020 , infatti, una ricerca aveva evidenziato la presenza di microplastiche in tutti i tessuti e gli organi del corpo. In tutti i campioni erano state rinvenute tracce di bisfenolo A, sostanza molto usata nell’industria, dai contenitori alimentari agli scontrini, con effetti negativi a livello ormonale che mettono a rischio in particolare lo sviluppo dei bambini e la fertilità.
Proprio i bambini sono purtroppo le principali vittime dell’ingestione di microplastiche, essendo realizzati in plastica moltissimi oggetti, dai giocattoli ai biberon, con cui i bambini sono costantemente in contatto, portandoli anche alla bocca. Non deve dunque stupire che la quantità di microplastiche rinvenute nelle feci dei bambini sia 10 volte superiore agli adulti.
Lo studio olandese
Tornando allo studio della Vrije Universiteit di Amsterdam, nella metà dei casi analizzati si tratta di tracce di plastica PET, quella comunemente usata nelle bottiglie, mentre in un terzo dei casi si tratta di polistirene, usato per confezionare alimenti e altri prodotti. Infine un quarto dei campioni di sangue conteneva polietilene, il materiale delle buste di plastica: in sostanza tutte tracce di prodotti che rappresentano la maggior parte dei rifiuti plastici nell’ambiente.
Le vie attraverso le quali la plastica raggiunge il nostro sangue e i nostri organi sono molteplici: in primo luogo la beviamo. La plastica, infatti, è stata rinvenuta nell’acqua corrente in tutto il mondo, ma questo non significa che le bottiglie ne siano esenti, anzi, al contrario, ne contengono ancora di più, tanto che in media una persona assume circa 90mila particelle di microplastica ogni anno attraverso l’acqua in bottiglia, contro le “sole” 4mila bevendo acqua dal rubinetto. Continuando ad acquistare acqua in bottiglia, inoltre, si alimenta il circolo dell’inquinamento ambientale: non a caso le più grandi multinazionali delle bibite sono ai vertici della classifica dei maggiori inquinatori mondiali. Secondariamente la mangiamo, nello specifico tra le 39mila e le 52mila particelle, un dato che oscilla in base all’età e al sesso degli individui, ma che vede come principali fonti della plastica ingerita i pesci e i frutti di mare. Anche altri animali, a partire dal pollo, sono notevoli fonti di microplastiche a tavola, ma queste sono state rinvenute anche nel sale marino e persino nella birra e nel miele, a testimoniare l’onnipresenza del problema.
E, ancora, respiriamo plastica, dispersa ovunque nell’ambiente e specialmente in città, nella cui aria sono stati rinvenuti 15 diversi tipi di microplastiche, per la maggior parte fibre di acrilico, proveniente dal settore dell’abbigliamento, disperse in tutte le fasi, dalla produzione allo smaltimento, passando per gli scarichi delle lavatrici. Ma anche imballaggi, buste di plastica, reti da pesca, microsfere degli scrub per il viso e dei dentifrici e microparticelle degli pneumatici che l’attrito sull’asfalto fa disperdere nell’ambiente: sono solo alcune delle fonti plastiche alla cui dispersione contribuiamo ogni giorno senza accorgercene.
In conclusione, è evidente come limitare la plastica introdotta nel nostro corpo possa essere frutto di scelte, ad esempio evitando di bere acqua dalle bottiglie e ridurre il consumo di pesce, ma è ancora più evidente che senza un cambiamento globale e radicale il problema, seppur in misura minor, resterebbe. Quello che serve è dunque un’azione coordinata internazionale ma la strada imboccata non porta certo in questa direzione: malgrado le iniziative volte a ridurre la plastica, la sua produzione è in vertiginoso aumento a livello globale. Continuando così il problema non potrà certo essere risolto.
Filippo Navarra