- Tra i settori dell’istruzione maggiormente in difficoltà nel nostro Paese spicca quello delle belle arti;
- Alla base dei problemi delle accademie artistiche c’è una grave mancanza di fondi e organico che si traducono in enormi difficoltà amministrative (per gli studenti solo 3 appelli all’anno). Inoltre gli istituti riconosciuti per legge sono pochi, e chi esce da un accademia artistica non è laureato ma diplomato. Diplomi che in molti casi il governo ha riconosciuto solo a partire dal 2019.
Una storia secolare alle spalle, al livello dell’ Università, ma una considerazione totalmente diversa. Stiamo parlando delle accademie artistiche italiane sempre più trattate dallo Stato come un campo minoritario, e a volte di serie B.
Le accademie italiane versano infatti in una situazione drammatica a causa della carenza di spazi, fondi e possibilità di lavoro. Alla base di questa grave difficoltà ci sarebbe una legge che ha imposto un freno ai contratti co.co.co (di collaborazione) nelle amministrazioni pubbliche, tipologia di contratto molto in uso nelle accademie dove, in media, il 50% dei docenti sono regolarizzati così.
Particolarmente emblematico il caso dell’Accademia di Palermo che dal 14 ottobre vede le lezioni bloccate, le attività didattiche sospese, l’impossibilità degli studenti di portare a termine il percorso di studi. Questo proprio a causa dei numerosi contratti co.co.co (81 docenti su 152) non più autorizzati. Questa situazione ha portato ad una protesta generale di studenti e docenti che stanno continuando a manifestare per la mancanza di risposte istituzionali. Malumore generale che riguarda anche altre città: a Torino gli studenti dell’Accademia Albertina hanno organizzato un flash mob in centro per ricordare le carenze di fondi e organico che si traducono in enormi difficoltà amministrative, come i soli 3 appelli all’anno(in tutte le Università sono almeno 6) a disposizione degli studenti. Proteste anche a Foggia, Lecce e Urbino a testimoniare una difficoltà generale del settore delle belle arti considerate da opinione pubblica e istituzioni come un campo in cui sfogare le proprie velleità individuali e nulla più.
Al di là dei disagi degli ultimi mesi, le problematiche burocratiche delle accademie hanno radici profonde. Gli istituti riconosciuti per legge sono pochi: solo venti accademie statali e venticinque scuole private. Ma non basta uno di questi istituti per dirsi universitario, chi esce dall’accademia, infatti, non si laurea ma si diploma.
Le accademie italiane afferiscono all’AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale), istituito nel 1999 ma solo nel 2019, vent’anni dopo, il governo ha riconosciuto il valore di alcuni percorsi di studi. Fino a tre anni fa, infatti, i diplomi rilasciati dall’AFAM non erano riconosciuti come validi, allo stesso modo, manca ancora il riconoscimento dell’equipollenza dei diplomi di corsi di studio sperimentali presi prima del 1999. Con una situazione giuridica così ingarbugliata non stupisce che l’accademia sia percepita come un percorso di studi poco sicuro dagli studenti, così come è altamente probabile che i datori di lavoro prendano poco in considerazione un diploma artistico, visto come una laurea di serie B.
Una situazione che lascia scontenti tutti gli attori in gioco: gli studenti perché si sentono regalati in un percorso di studi considerato minoritario, i docenti che non possono operare in un contesto didattico solido, vedendo il proprio lavoro svalutato dalla situazione contrattuale di precariato. Ma nemmeno gli amministratori si dicono tranquilli perché devono fare i conti con le mancanze finanziarie degli istituti e con la consapevolezza di essere in una posizione di inferiorità rispetto alle università.
Salvo Bitoni, a capo per sei anni dell’Accademia Albertina di Torino, punta il dito contro le università e la politica: “Sicuramente la prima ostilità viene proprio dal sistema universitario italiano, che teme di perdere una parte dei fondi, quelli ai quali noi ora non possiamo accedere. A questo si aggiunge la latitanza storica della politica sulla questione”. Accuse che trovano sostegno dai numeri, l’Italia risulta infatti tra gli ultimi Paesi in Europa per spesa sull’istruzione: solo il 4,1 % del Pil viene destinato alla scuola. Con numeri così bassi è impossibile pensare di risolvere i problemi dei vari segmenti dell’istruzione, dalla scuola dell’obbligo all’università, passando ovviamente per le accademie.
In conclusione, tra i titoli di studio validati con enorme ritardo e i vari professionisti dell’arte costretti al precariato, a farne le spese è la percezione dell’arte stessa in Italia. Una disciplina di cui le istituzioni se ne occupano controvoglia e che si rivela scelta sbagliata per chi ha voluto seguire le proprie inclinazioni.
Filippo Navarra